L'insopprimibile necessità di dire cosa penso…!



Viviamo in un’epoca in cui ogni avvenimento passa attraverso la lente dei social. La morte di un Papa, l’elezione del successore, una crisi internazionale, o anche solo l’ultima serie tv di successo: tutto diventa argomento di conversazione globale

E ognuno di noi, volente o nolente, si sente in qualche modo chiamato a dire la propria.

Non è solo un fenomeno culturale, è qualcosa di più profondo e psicologico. La possibilità di esprimersi pubblicamente, di scrivere un commento, di condividere un pensiero, offre l'illusione di partecipare agli eventi. Chi tace si sente quasi invisibile, escluso dal grande coro.

Così, di fronte ai grandi fatti, molti si improvvisano esperti, altri riportano frasi altrui come fossero monete da spendere per "esserci" e contare. La dinamica è semplice ma potente: se esprimo la mia opinione, sono parte del gruppo; se resto in silenzio, rischio di essere tagliato fuori. Questo bisogno di appartenenza è un motore psicologico antichissimo, radicato nel nostro cervello sociale.

Ma qui si nasconde anche un’insidia sottile. Il bisogno di essere visti e ascoltati si intreccia sempre di più con l’idea che il nostro valore personale dipenda da quanto siamo presenti — e soprattutto da quanto siamo "brillanti" — nel dire la nostra. Così, l’autostima finisce per legarsi a doppio filo alla performance sociale: più ricevo like, commenti e approvazione, più mi sento valido; se il mio pensiero passa inosservato, il senso di valore personale vacilla.

E invece, sarebbe bello — e sano — riscoprire che non avere subito un’opinione è possibile, e a volte necessario. Restare in silenzio, riflettere, formarsi un pensiero richiede tempo, studio, decantazione. 

Non è necessario essere sempre pronti a dire la nostra. La nostra autostima e il nostro valore come persone non dipendono dal numero di opinioni che esprimiamo o da quanto "sul pezzo" sembriamo.

Chi sarei io se stessi in silenzio, e parlassi solo quando qualcuno mi chiede esplicitamente cosa penso? È una domanda che può spaventare, perché ci mette di fronte al nostro bisogno compulsivo di esserci e di dire "io c'ero, e ti dico come la penso".

Forse, una ritrovata vita sociale reale ci aiuterebbe a ridimensionare questa pressione. A scoprire che gli altri, che sui social sembrano preparati, brillanti e intelligenti, nella realtà forse non sono così. E ch, forse, noi stessi siamo meglio di come pensiamo.

E tu? Riesci a stare in silenzio quando tutti parlano? Riesci a dare tempo alle tue idee di formarsi, senza fretta, senza dover "esserci" a tutti i costi?

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